
Cuba ci accoglie in una notte umida, il nastro dei bagagli gira lento: anche lui allineato ai ritmi caraibici dell’isola. Le nostre valigie arrivano quasi per ultime, ma la vera sfida è recuperare il passeggino e il seggiolino per l’auto: ci aiuta a trovarli un turista canadese in fila con noi al lost&found, dicendoci semplicemente di provare a guardare dall’altra parte dell’aeroporto, in mezzo ad un mucchio di bagagli perduti o dimenticati. E infatti li troviamo lì e tiriamo un bel sospiro di sollievo. Usciamo dalle porte scorrevoli degli arrivi che i nostri compagni di volo sono già tutti andati, siamo gli ultimi. Chiediamo ad una annoiatissima impiegata del banco informazioni dove possiamo cambiare i soldi e mentre ci risponde eccolo lì, il primo scarrafoncino che passeggia indisturbato sul bancone. Cambiamo i soldi senza fare fila: vedi alle volte la fortuna di perdere un’ora a fare la caccia al tesoro per ritrovare un passeggino e un seggiolino. Il taxi ci chiede i 25CUC$ canonici per portarci alla nostra casa particular di Vedado, menomale, non avevamo voglia di contrattare a quest’ora. Ma in realtà mi stupirà questa cosa di Cuba: nessuno ci ha mai chiesto più di quello che ci saremmo dovuti aspettare, niente estenuanti contrattazioni all’asiatica da queste parti.
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La Casa Particular dove passiamo le nostre prime due notti a L’Avana è a El Vedado e sarà la peggiore di tutto il nostro viaggio. Non è nella casa dei proprietari – come dovrebbe essere – ma nella decadente palazzina accanto, con ringhiere arrugginite e intonaco scrostato. L’appartamento è grande – anche troppo per noi – ma è pulito, e ce lo facciamo andar bene, nonostante le lenzuola sintetiche effetto scrub e le tende di nylon fuxia. A Cuba bisogna ampliare le proprie vedute in fatto di stile. La nostra ospite sembra non gradire troppo il suo ruolo, la colazione non è male ma è lei a non essere piacevole, lo dico pensando all’accoglienza che abbiamo avuto nelle sistemazioni successive. Solo Orlando riesce a strapparle qualche sorriso e qualche commento affettuoso.
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Ho letto molto delle Casas Particulares, molto di bene e molto di male. Ho letto di delusioni rispetto al fatto del non sentirsi “in famiglia” come ci si aspettava e ho letto di accoglienze calorose e saluti con baci e abbracci. Come in tutte le cose bisogna fare la tara: il sistema delle Casas Particulares è un business – uno dei più redditizi, tra parentesi – perciò è giusto aspettarsi quello che ci si aspetta quando si paga in cambio di un servizio. Il livello di calore e di accoglienza è variabile e molto dipende dalle aspettative che si hanno. A parte la nostra prima Casa a L’Avana, abbiamo sempre avuto esperienze meravigliose, abbiamo incontrato persone che svolgono il loro mestiere – perché di questo si tratta – con serietà e passione e che sono felici di avere a che fare con gli stranieri, di aiutarli a destreggiarsi per le loro città e nel sistema cubano. Se fosse Orlando a scrivere al mio posto, direbbe senza dubbio di essersi sentito accolto con tutti gli onori e trattato come un re: se c’è una cosa sacra a Cuba, per tutti, sono i bambini. Portate con voi un bimbo e vi si apriranno tutte le porte, esattamente il contrario di quello che accade da noi, per dire.
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Per gli spostamenti a L’Avana ci sono i taxi colectivos: in pratica ci si mette sul ciglio delle principali arterie stradali, si sporge la manina e nel tempo di 5 minuti una macchina scalcagnata ti raccoglie e per il prezzo (turistico) di 1CUC$ (se siete fortunati anche 0,50CUC$) a persona ti scarica più o meno in uno qualunque dei punti di principale interesse. Il primo che prendiamo sulla Lìnea ci porta dall’estremità di Vedado fino al Capitolio. E’ la macchina più scassata tra tutte quelle che prenderemo, come mi tiro dietro la portiera se ne viene via un pezzetto di ferraglia arrugginito. A Cuba non si butta via niente e le macchine non fanno eccezione: vecchie Dodge, Chevrolet e 126 Fiat sferragliano spandendo fumo nero per le strade dell’isola, spesso con un look nuovo di pacca dai colori sgarzuli, altre volte semplicemente tenute insieme dalla speranza.
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L’Avana è meravigliosa, è una città che sa essere romantica, interessante, sconvolgente, decrepita e moderna tutto nello stesso momento, anzi, nel raggio di pochi metri. Habana Vieja è la zona turistica per eccellenza, con le vie di ciottoli, la Catedral di pietra, le porte azzurre. La Bodeguita del Medio, passaggio immancabile, è un rumoroso angolino che non ha più niente, a mio parere, di quello che doveva essere in origine, ma se volete vedere turisti dai cappelli ridicoli è il posto giusto. Il nostro primo giorno nella capitale cubana viene interrotto bruscamente da una tempesta di vento e pioggia che ci costringe prima a stare al riparo sotto i portici della piazza della Cattedrale e poi, non senza bagnarci, a rintanarci al Museo de la Révoluciòn. Non basta a smaltire la pioggia, quando usciamo il vento soffia ancora fortissimo e riprende la pioggerella che diventerà un temporale notturno in piena regola, giusto per ricordarci che siamo ai Caraibi e qui il tempo cambia in un battito di ciglia. Altro che aria condizionata, qui ci vogliono le coperte!
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Viñales è fredda e ventosa, ma i Mogotes sono meravigliosi. Qui l’accoglienza è calorosa, Lila gioca con Orlando e inventa mille modi per intrattenerlo, ma il preferito rimane dare la caccia alle galline che si aggirano in maniera autonoma per i giardini e i cortili. Anche il grosso maiale pezzato nel cortile accanto esercita su di lui un’attrazione fatale: Orlando gli fa il verso ma riusciamo a spiegargli che il maiale si guarda e non si tocca. Facciamo una bellissima gita a cavallo tra i Mogotes, visitiamo una piantagione di tabacco, fumiamo i buonissimi sigari pucciati nel miele, Orlando viene accompagnato a fare ciao-ciao alle vacche che qui tirano ancora gli aratri avanti e indietro per i campi coltivati. Sentiamo nominare per la prima volta “El Govierno“, un’entità suprema che non viene mai messa in discussione, non in nostra presenza. Visitiamo anche una grotta dentro la montagna e una piantagione di caffè. Tutto perfetto se non fosse che il secondo giorno vengo colpita da ignoto male intestinale che mi mette fuori combattimento per 24h, saltiamo la gita a Cayo Jutìas, tanto più che anche il tempo non ci assiste. Peccato.
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E’ quindi vero che a Cuba, anche quando hai una regolare prenotazione, la macchina ti viene consegnata dopo un’attesa di minimo 3 ore. Uno tende ad essere ottimista, a sperare “magari noi saremo più fortunati” ma poi ti trovi in un parcheggio per tre ore a scrutare con aria speranzosa i minimi movimenti dell’impiegato che ti sorride e ti dice tranquillamente di andare a mangiare che tanto c’è tempo. E così facciamo: visitiamo il monumentale Hotel Nacional proprio lì di fronte, andiamo a pranzo, giochiamo con i legnetti nelle aiuole intorno al parcheggio. E poi, quando ormai la speranza stava svanendo, ecco che appare la nostra macchina, nuova il giusto per i canoni cubani e soprattutto con le cinture di sicurezza dove servono: possiamo montale il seggiolino di Orlando. E partire quanto prima per Cienfuegos, dove arriviamo poco dopo il tramonto del sole, appena appena in tempo per non correre rischi. I rischi delle strade cubane sono legati all’assenza totale di illuminazione, alle buche (voragini) improvvise, ai carretti e ai cavalli contromano, agli attraversamenti selvaggi dei pedoni.
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Compriamo un CD da una coppia di musicisti che suona nel paladar El Criollito di Cienfuegos. Lei è una bella signora con una voce soave, Orlando la conquista all’istante. La sua voce ci accompagnerà per tutti i giorni seguenti, lungo le strade di Cuba. Cienfuegos, con i suoi palazzi color sorbetto, con le colonnine e i balconi che sembrano di panna, con il suo lunghissimo Paseo, il suo Malecòn, le sue ville coloniali color puffo e il suo fiore all’occhiello, il Palazzo del Valle. Andiamo via subito dopo pranzo, Trinidad ci aspetta. Infatti sbagliamo strada e finiamo alla spiaggia di Rancho Luna, peccato non avere il tempo di fermarsi. Trinidad non è una piccola Cienfuegos, Trinidad è un mondo a sé, un mondo dove orologi e calendari sono fermi al 1900. Ci sarebbe da fermarsi più a lungo e provare tutti i paladar ricercatissimi che sbucano ovunque uno dopo l’altro. E in più Orlando si innamora del cane della casa dove stiamo e del suo proprietario che lui chiama “Signore”. Si sveglia la mattina e dice solo: “Signore!” indicando la porta. Appena lo vede gli si appollaia in braccio e si fa portare in giro.
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Su suggerimento di Migue cambiamo i nostri programmi e invece di passare da Sancti Spiritus, prendiamo la strada che attraversa la Valle de Los Ingenios e la Sierra del Escambray. La strada è buona e si arrampica sulle montagne coperte di vegetazione caraibica attraversando alcuni piccoli villaggi interessanti. La storia cubana è passata spesso da qui e ha lasciato dei segni, uno di questi è ben visibile: la Torre di Manaca Iznaga che ricorda l’epoca schiavista, quando la torre serviva per controllare il lavoro degli schiavi nelle piantagioni circostanti. Per la geografia impervia del luogo questa zona è stata anche il teatro della Rivolta di Escambray, una ribellione al regime castrista che durò 6 anni (dal 1959 al 1965). Orlando impazzisce davanti alla grossa campana di bronzo poggiata a terra nei pressi della torre: scopre che colpendola con un sasso la campana fa “Dong!”.
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Ed eccole qui, quelle fosforescenze tipiche del mare caraibico, circondato da cespugli di mangrovie. Procediamo attraverso i ponti sospesi sull’acqua verso Cayo Santa Maria.
“…Aqui se queda la clara, la entranãble trasparencia, de tu querida prensencia, comandante Che Guevara…”,
canta la radio.
Ed eccoci arrivati, al nostro Resort all’occidentale che non ha niente di cubano, niente di quello che abbiamo visto nei giorni passati. Di cubano ha solo che alcune cose, semplicemente, finiscono: a Cuba nessun approvvigionamento è eterno. Solo il vento che ci insegue sembra eterno e lo troviamo anche qui. Ma la cosa non ci impedisce di starcene in spiaggia, costruire castelli, inseguire le onde. I nostri compagni di hotel sembrano trichechi, trichechi con i tatuaggi. Stanno la maggior parte del tempo spanciati sui lettini attaccati a cannucce tuffate in enormi thermos ripieni di birra, nella migliore delle ipotesi. Non mi abituerò mai a questo turismo mordi e fuggi, tipico degli all inclusive. Lo trovo ancora più di cattivo gusto qui a Cuba, dove ogni risorsa è preziosa.
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Quando, prima di partire, leggi della moneta cubana pensi “che casino”. L’idea di una doppia valùta è alquanto stramba. In realtà quando si è sul posto è tutto piuttosto semplice: gli stranieri pagano in Peso Convertible (CUC$) e i cubani usano il Peso Cubano, chiamato Moneda Nacional. Punto. Questa distinzione separa nettamente i due mondi: Cuba da un lato, tutti gli altri dall’altro; i beni di lusso o d’importazione da un lato e i beni di prima necessità e i miseri salari statali dall’altro. Con il crescere del turismo e l’aumento della circolazione di CUC$ si è creato un divario tra chi ha a che fare con il turismo e chi svolge lavori tradizionali. Non ho capito bene se sia questo il motivo di fondo, ma la notizia che circola a Cuba è che a breve ci sarà un’unica moneta. Il proprietario di una delle case dove abbiamo soggiornato, ha regalato a Orlando una banconota da 3 Pesos (MN) dove troneggia il volto del Che: “Si dice che Tra poco questa banconota scomparirà. Un ricordo per Orlando del suo viaggio a Cuba“. Di solito dai nostri viaggi portiamo sempre un quadretto o una cartolina locale, abbiamo deciso che il nostro “quadretto da incorniciare” di Cuba sarà questa banconota. Grazie!
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Le strade tranquille di Remedios sono un luogo di riposo. Remedios colorata, accogliente, riposante. Giriamo al pomeriggio per le vie intorno alla sua piazza, scattiamo foto all’impazzata. La nostra Casa è bellissima, è la quintessenza purissima dell’ospitalità cubana unita a buon gusto, eleganza e ottimo cibo. A Remedios incontriamo due coppie di italiani, ci fermiamo a lungo a chiacchierare, anche perché Orlando decide di stalkerare letteralmente il figlio suo coetaneo di una delle coppie: “Bi(m)bo bi(m)bo” dice e lo abbraccia e lo bacia, credo sia in crisi d’astinenza da bimbi!! Quando siamo a Santa Clara, di passaggio, siamo ancora più contenti di aver scelto di fermarci a Remedios e non qui. Visitiamo il Monumento al Treno Blindato, che come tutti i monumenti della rivoluzione ha sempre un retrogusto tetro: cioè, di fatto si tratta di un treno deragliato, di un cimelio di guerra. Un treno che ha un enorme valore simbolico perché con questa battaglia si sono decise le sorti della Rivoluzione. Poi, visitiamo anche il Memorial Comandante Ernesto Che Guevara.
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A Cuba mi sono innamorata di Ernesto Guevara con circa 20 anni di ritardo rispetto alla mia adolescenza, quando forse avevo l’età per questo genere di struggenti passioni cerebrali. Mi sono innamorata del personaggio e anche del suo essere controverso, mitizzato e demonizzato allo stesso tempo. Mi sono innamorata di un ragazzo – bellissimo – che credeva in un mondo diverso e ha lottato per questo fino alla fine. E niente, credo che se avessi dovuto scegliere in che campo giocare, avrei scelto il suo. Oggi è difficile esprimere un giudizio di Che Guevara a Cuba, perché Cuba è andata avanti – o rimasta indietro, a seconda di come la vogliate vedere – senza di lui. Eppure la sua immagine è come una potentissima colla che tiene i pezzi della storia insieme: dagli slogan rivoluzionari sparsi ovunque sui muri dell’isola, al suo faccione con lo sguardo solenne e fiero della foto che gli scattò Korda, stampata e riprodotta fino alla nausea ovunque nel mondo. Ecco, su una cosa siamo tutti d’accordo: lui questo non l’avrebbe apprezzato. Il suo mausoleo è semplice: dei cubi di granito con la sua statua sopra la celebre frase e quella lettera a Fidel, scritta in bronzo, con cui lo salutava e lasciava quello che lui chiama il “suo popolo” per proseguire la sua missione. Missione che, noi lo sappiamo, lo avrebbe ucciso. Patria o Muerte.
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Torniamo a L’Avana al pomeriggio, riuscendo a destreggiarci alla grande tra le strade della capitale. Raggiungiamo senza problemi il nostro ultimo alloggio a Vedado, di nuovo. Armando è un ragazzo di Madrid, ha comprato questa casa coloniale mettendola a posto e rendendola un luogo perfetto dove soggiornare, ricco di oggetti originali e cimeli storici cubani. La casa è popolata da cinque randagi salvati dalla strada e da un gattone bianco e nero che diventa subito l’ossessione di Orlando, almeno finché il gatto non capisce di essere spacciato e sparisce misteriosamente non facendosi più vedere fino alla nostra partenza. A L’Avana si conclude il nostro viaggio perfetto, con una giornata meravigliosa dove riusciamo a fare e vedere tutto quello che speravo. Se possibile, mi innamoro ancora di più di questa città.
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La mattina del nostro ultimo giorno a Cuba, con la nostra macchina, andiamo a visitare la Plaza de la Revoluciòn, il cui parcheggio è pieno delle caratteristiche vecchie macchine cubane tirate a lucido per trasportare euforici turisti. Noi arriviamo con la nostra Peugeot grigia che ammetto sfigura parecchio. L’enorme ritratto di Che Guevara ci osserva con la sua celebre frase “Hasta la Victoria Siempre“, accanto c’è anche quello più giovane di Camilo Cienfuegos meno celebre, ma noto a qualsiasi persona che trascorra più di un giorno a Cuba. Un altro eroe della Revoluciòn, scomparso giovanissimo in circostanze misteriose. Andiamo a riconsegnare la macchina alla CubaCar dell’Hotel Nacional: siamo grati che la nostra Peugeot ci abbia accompagnato fino alla fine, senza lasciarci mai a piedi nonostante il curioso rumore di barattolo di latta che produceva in accelerazione. Proseguiamo a piedi verso la famosa gelateria Coppelia e da lì proseguiamo su San Lazaro per poi gettarci nella bellissima Habana Centro lungo Concordia. Impossibile camminare in queste vie e non pensare alle parole di Pedro Juan Gutiérrez. Raggiungiamo il Malecòn e poi andiamo a pranzo in uno dei posti più belli dove io sia mai stata. Concludiamo la giornata ripassando un’ultima volta da Plaza de la Cathedral e poi in Plaza de Armas, dove acquisto un libro di fotografie di Korda alle bancarelle di libri usati. E’ il tramonto, il momento ideale per un’ultima corsa sul Malecòn in una macchina cabrio del 1929.
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Non so perché di Cuba si vogliono sempre rimarcare gli aspetti negativi, scontati e negativi. Forse perché così dimostriamo a noi stessi di essere persone di senso critico, persone navigate e colte, che non si fanno abbindolare da qualche slogan anacronistico. Cuba è una Repubblica Socialista a partito unico, il resto ce lo ha detto la Storia, quella che abbiamo studiato tutti a scuola. So che ci sono persone che non vogliono farsi convincere dei limiti di un governo di questo tipo, fan irriducibili di un mito storico d’altri tempi, ma per tutti gli altri sembra cosa doverosa, al ritorno da casa, far “finta di cadere dal pero” e sottolineare che a Cuba le persone vivono quotidianamente restrizioni della loro libertà. Ma va’?!?!?
Dietro quei sorrisi e il buon umore, dietro i balli e la musica, si nasconde la povertà e la malinconia di un popolo oppresso. Dicendo questa frase si compie un errore per me imperdonabile: si mette in dubbio la genuinità della cultura di un popolo intero, oltre che di ogni singola persona che abbiamo incontrato nel viaggio. Le restrizioni che ogni cubano vive ogni giorno, la fame perenne, sono uno schiaffo alla libertà, questo è fuori di ogni dubbio. Ma io credo che la loro ospitalità, la loro capacità di sorridere, l’amore per il rum e la musica, per la loro bella isola, sia tutto vero, sia parte di loro e li rende ai miei occhi un popolo straordinario e unico al mondo. Abbiamo sempre la tendenza a ergerci a supremo paragone, perché abbiamo la fortuna sfacciata di avere in tasca un passaporto europeo e il portafoglio pieno di euro. A Cuba è tutto molto complicato e pieno di contraddizioni, è difficile capire come stanno davvero le cose per uno straniero di passaggio. Forse si è capito, ma sono tornata piena di domande e in genere i posti che mi fanno questo effetto sono i miei preferiti e sono i posti dove voglio tornare, ancora, ancora e ancora.
Hasta pronto, Cuba!
Cuba non è solo un’isola, è un arcipelago composto da 1600 isole e isolette dette cayos. L’isola principale è anche l’isola più grande dell’arcipelago dei Caraibi detta per questo “la Ilha Grande”. Dal 1959, con la vittoria dei Barbudos sul regime di Batista, Cuba è una Repubblica Socialista a partito unico. Negli ultimi anni il turismo verso l’isola è in continuo aumento.
3 pensieri riguardo “Diario di viaggio: Cuba, gennaio 2017”